Paradiso (Italian)
LA DIVINA COMMEDIA
Di Dante Alighieri
PARADISO
Paradiso: Canto I
La gloria di colui che tutto move
Per l’universo penetra, e risplende
In una parte piщ e meno altrove.
Nel ciel che piщ de la sua luce prende
Fu’ io, e vidi cose che ridire
Nй sa nй puт chi di lа sщ discende;
perchй appressando sй al suo disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che dietro la memoria non puт ire.
Veramente quant’io del regno santo
Ne la mia mente potei far tesoro,
Sarа ora materia del mio canto.
O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
Fammi del tuo valor sм fatto vaso,
Come dimandi a dar l’amato alloro.
Infino a qui l’un giogo di Parnaso
Assai mi fu; ma or con amendue
M’и uopo intrar ne l’aringo rimaso.
Entra nel petto mio, e spira tue
Sм come quando Marsia traesti
De la vagina de le membra sue.
O
Tanto che l’ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti,
vedra’mi al piи del tuo diletto legno
Venire, e coronarmi de le foglie
Che la materia e tu mi farai degno.
Sм rade volte, padre, se ne coglie
Per triunfare o cesare o poeta,
Colpa e vergogna de l’umane voglie,
che parturir letizia in su la lieta
Delfica deitа dovria la fronda
Peneia, quando alcun di sй asseta.
Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse di retro a me con miglior voci
Si pregherа perchй Cirra risponda.
Surge ai mortali per diverse foci
La lucerna del mondo; ma da quella
Che quattro cerchi giugne con tre croci,
con miglior corso e con migliore stella
Esce congiunta, e la mondana cera
Piщ a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di lа mane e di qua sera
Tal foce, e quasi tutto era lа bianco
Quello emisperio, e l’altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
Vidi rivolta e riguardar nel sole:
Aquila sм non li s’affisse unquanco.
E sм come secondo raggio suole
Uscir del primo e risalire in suso,
Pur come pelegrin che tornar vuole,
cosм de l’atto suo, per li occhi infuso
Ne l’imagine mia, il mio si fece,
E fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.
A le nostre virtщ, mercй del loco
Fatto per proprio de l’umana spece.
Io nol soffersi molto, nй sм poco,
Ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
Com’ferro che bogliente esce del foco;
e di sщbito parve giorno a giorno
Essere aggiunto, come quei che puote
Avesse il ciel d’un altro sole addorno.
Beatrice tutta ne l’etterne rote
Fissa con li occhi stava; e io in lei
Le luci fissi, di lа sщ rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
Qual si fй Glauco nel gustar de l’erba
Che ‘l fй consorto in mar de li altri dиi.
Trasumanar significar per verba
Non si poria; perт l’essemplo basti
A cui esperienza grazia serba.
S’i’ era sol di me quel che creasti
Novellamente, amor che ‘l ciel governi,
Tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
Desiderato, a sй mi fece atteso
Con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
De la fiamma del sol, che pioggia o fiume
Lago non fece alcun tanto disteso.
La novitа del suono e ‘l grande lume
Di lor cagion m’accesero un disio
Mai non sentito di cotanto acume.
Ond’ella, che vedea me sм com’io,
A quietarmi l’animo commosso,
Pria ch’io a dimandar, la bocca aprio,
e cominciт: “Tu stesso ti fai grosso
Col falso imaginar, sм che non vedi
Ciт che vedresti se l’avessi scosso.
Tu non se’ in terra, sм come tu credi;
Ma folgore, fuggendo il proprio sito,
Non corse come tu ch’ad esso riedi”.
S’io fui del primo dubbio disvestito
Per le sorrise parolette brevi,
Dentro ad un nuovo piщ fu’ inretito,
e dissi: “Giа contento requievi
Di grande ammirazion; ma ora ammiro
Com’io trascenda questi corpi levi”.
Ond’ella, appresso d’un pio sospiro,
Li occhi drizzт ver’ me con quel sembiante
Che madre fa sovra figlio deliro,
e cominciт: “Le cose tutte quante
Hanno ordine tra loro, e questo и forma
Che l’universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l’alte creature l’orma
De l’etterno valore, il qual и fine
Al quale и fatta la toccata norma.
Ne l’ordine ch’io dico sono accline
Tutte nature, per diverse sorti,
Piщ al principio loro e men vicine;
onde si muovono a diversi porti
Per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti.
Questi ne porta il foco inver’ la luna;
Questi ne’ cor mortali и permotore;
Questi la terra in sй stringe e aduna;
nй pur le creature che son fore
D’intelligenza quest’arco saetta
Ma quelle c’hanno intelletto e amore.
La provedenza, che cotanto assetta,
Del suo lume fa ‘l ciel sempre quieto
Nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;
e ora lм, come a sito decreto,
Cen porta la virtщ di quella corda
Che ciт che scocca drizza in segno lieto.
Vero и che, come forma non s’accorda
Molte fiate a l’intenzion de l’arte,
Perch’a risponder la materia и sorda,
cosм da questo corso si diparte
Talor la creatura, c’ha podere
Di piegar, cosм pinta, in altra parte;
e sм come veder si puт cadere
Foco di nube, sм l’impeto primo
L’atterra torto da falso piacere.
Non dei piщ ammirar, se bene stimo,
Lo tuo salir, se non come d’un rivo
Se d’alto monte scende giuso ad imo.
Maraviglia sarebbe in te se, privo
D’impedimento, giщ ti fossi assiso,
Com’a terra quiete in foco vivo”.
Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
Paradiso: Canto II
O voi che siete in piccioletta barca,
Desiderosi d’ascoltar, seguiti
Dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
Non vi mettete in pelago, chй forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L’acqua ch’io prendo giа mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
E nove Muse mi dimostran l’Orse.
Voialtri pochi che drizzaste il collo
Per tempo al pan de li angeli, del quale
Vivesi qui ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l’alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
Que’ gloriosi che passaro al Colco
Non s’ammiraron come voi farete,
Quando Iasуn vider fatto bifolco.
La concreata e perpetua sete
Del deiforme regno cen portava
Veloci quasi come ‘l ciel vedete.
Beatrice in suso, e io in lei guardava;
E forse in tanto in quanto un quadrel posa
E vola e da la noce si dischiava,
giunto mi vidi ove mirabil cosa
Mi torse il viso a sй; e perт quella
Cui non potea mia cura essere ascosa,
volta ver’ me, sм lieta come bella,
“Drizza la mente in Dio grata”, mi disse,
“che n’ha congiunti con la prima stella”.
Parev’a me che nube ne coprisse
Lucida, spessa, solida e pulita,
Quasi adamante che lo sol ferisse.
Per entro sй l’etterna margarita
Ne ricevette, com’acqua recepe
Raggio di luce permanendo unita.
S’io era corpo, e qui non si concepe
Com’una dimensione altra patio,
Ch’esser convien se corpo in corpo repe,
accender ne dovrмa piщ il disio
Di veder quella essenza in che si vede
Come nostra natura e Dio s’unio.
Lм si vedrа ciт che tenem per fede,
Non dimostrato, ma fia per sй noto
A guisa del ver primo che l’uom crede.
Io rispuosi: “Madonna, sм devoto
Com’esser posso piщ, ringrazio lui
Lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.
Ma ditemi: che son li segni bui
Di questo corpo, che lа giuso in terra
Fan di Cain favoleggiare altrui?”.
Ella sorrise alquanto, e poi “S’elli erra
L’oppinion”, mi disse, “d’i mortali
Dove chiave di senso non diserra,
certo non ti dovrien punger li strali
D’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
Vedi che la ragione ha corte l’ali.
Ma dimmi quel che tu da te ne pensi”.
E io: “Ciт che n’appar qua sщ diverso
Credo che fanno i corpi rari e densi”.
Ed ella: “Certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti
L’argomentar ch’io li farт avverso.
La spera ottava vi dimostra molti
Lumi, li quali e nel quale e nel quanto
Notar si posson di diversi volti.
Se raro e denso ciт facesser tanto,
Una sola virtщ sarebbe in tutti,
Piщ e men distributa e altrettanto.
Virtщ diverse esser convegnon frutti
Di princмpi formali, e quei, for ch’uno,
Seguiterмeno a tua ragion distrutti.
Ancor, se raro fosse di quel bruno
Cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
Fora di sua materia sм digiuno
esto pianeto, o, sм come comparte
Lo grasso e ‘l magro un corpo, cosм questo
Nel suo volume cangerebbe carte.
Se ‘l primo fosse, fora manifesto
Ne l’eclissi del sol per trasparere
Lo lume come in altro raro ingesto.
Questo non и: perт и da vedere
De l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
Falsificato fia lo tuo parere.
S’elli и che questo raro non trapassi,
Esser conviene un termine da onde
Lo suo contrario piщ passar non lassi;
e indi l’altrui raggio si rifonde
Cosм come color torna per vetro
Lo qual di retro a sй piombo nasconde.
Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
Ivi lo raggio piщ che in altre parti,
Per esser lм refratto piщ a retro.
Da questa instanza puт deliberarti
Esperienza, se giа mai la provi,
Ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’arti.
Tre specchi prenderai; e i due rimovi
Da te d’un modo, e l’altro, piщ rimosso,
Tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
Ti stea un lume che i tre specchi accenda
E torni a te da tutti ripercosso.
Ben che nel quanto tanto non si stenda
La vista piщ lontana, lм vedrai
Come convien ch’igualmente risplenda.
Or, come ai colpi de li caldi rai
De la neve riman nudo il suggetto
E dal colore e dal freddo primai,
cosм rimaso te ne l’intelletto
Voglio informar di luce sм vivace,
Che ti tremolerа nel suo aspetto.
Dentro dal ciel de la divina pace
Si gira un corpo ne la cui virtute
L’esser di tutto suo contento giace.
Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
Quell’esser parte per diverse essenze,
Da lui distratte e da lui contenute.
Li altri giron per varie differenze
Le distinzion che dentro da sй hanno
Dispongono a lor fini e lor semenze.
Questi organi del mondo cosм vanno,
Come tu vedi omai, di grado in grado,
Che di sщ prendono e di sotto fanno.
Riguarda bene omai sм com’io vado
Per questo loco al vero che disiri,
Sм che poi sappi sol tener lo guado.
Lo moto e la virtщ d’i santi giri,
Come dal fabbro l’arte del martello,
Da’ beati motor convien che spiri;
e ‘l ciel cui tanti lumi fanno bello,
De la mente profonda che lui volve
Prende l’image e fassene suggello.
E come l’alma dentro a vostra polve
Per differenti membra e conformate
A diverse potenze si risolve,
cosм l’intelligenza sua bontate
Multiplicata per le stelle spiega,
Girando sй sovra sua unitate.
Virtщ diversa fa diversa lega
Col prezioso corpo ch’ella avviva,
Nel qual, sм come vita in voi, si lega.
Per la natura lieta onde deriva,
La virtщ mista per lo corpo luce
Come letizia per pupilla viva.
Da essa vien ciт che da luce a luce
Par differente, non da denso e raro;
Essa и formal principio che produce,
conforme a sua bontа, lo turbo e ‘l chiaro”.
Paradiso: Canto III
Quel sol che pria d’amor mi scaldт ‘l petto,
Di bella veritа m’avea scoverto,
Provando e riprovando, il dolce aspetto;
e io, per confessar corretto e certo
Me stesso, tanto quanto si convenne
Leva’ il capo a proferer piщ erto;
ma visione apparve che ritenne
A sй me tanto stretto, per vedersi,
Che di mia confession non mi sovvenne.
Quali per vetri trasparenti e tersi,
O ver per acque nitide e tranquille,
Non sм profonde che i fondi sien persi,
tornan d’i nostri visi le postille
Debili sм, che perla in bianca fronte
Non vien men forte a le nostre pupille;
tali vid’io piщ facce a parlar pronte;
Per ch’io dentro a l’error contrario corsi
A quel ch’accese amor tra l’omo e ‘l fonte.
Sщbito sм com’io di lor m’accorsi,
Quelle stimando specchiati sembianti,
Per veder di cui fosser, li occhi torsi;
e nulla vidi, e ritorsili avanti
Dritti nel lume de la dolce guida,
Che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
“Non ti maravigliar perch’io sorrida”,
Mi disse, “appresso il tuo pueril coto,
Poi sopra ‘l vero ancor lo piи non fida,
ma te rivolve, come suole, a vтto:
Vere sustanze son ciт che tu vedi,
Qui rilegate per manco di voto.
Perт parla con esse e odi e credi;
Chй la verace luce che li appaga
Da sй non lascia lor torcer li piedi”.
E io a l’ombra che parea piщ vaga
Di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
Quasi com’uom cui troppa voglia smaga:
“O ben creato spirito, che a’ rai
Di vita etterna la dolcezza senti
Che, non gustata, non s’intende mai,
grazioso mi fia se mi contenti
Del nome tuo e de la vostra sorte”.
Ond’ella, pronta e con occhi ridenti:
“La nostra caritа non serra porte
A giusta voglia, se non come quella
Che vuol simile a sй tutta sua corte.
I’ fui nel mondo vergine sorella;
E se la mente tua ben sй riguarda,
Non mi ti celerа l’esser piщ bella,
ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
Che, posta qui con questi altri beati,
Beata sono in la spera piщ tarda.
Li nostri affetti, che solo infiammati
Son nel piacer de lo Spirito Santo,
Letizian del suo ordine formati.
E questa sorte che par giщ cotanto,
Perт n’и data, perchй fuor negletti
Li nostri voti, e vтti in alcun canto”.
Ond’io a lei: “Ne’ mirabili aspetti
Vostri risplende non so che divino
Che vi trasmuta da’ primi concetti:
perт non fui a rimembrar festino;
Ma or m’aiuta ciт che tu mi dici,
Sм che raffigurar m’и piщ latino.
Ma dimmi: voi che siete qui felici,
Disiderate voi piщ alto loco
Per piщ vedere e per piщ farvi amici?”.
Con quelle altr’ombre pria sorrise un poco;
Da indi mi rispuose tanto lieta,
Ch’arder parea d’amor nel primo foco:
“Frate, la nostra volontа quieta
Virtщ di caritа, che fa volerne
Sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
Se disiassimo esser piщ superne,
Foran discordi li nostri disiri
Dal voler di colui che qui ne cerne;
che vedrai non capere in questi giri,
S’essere in caritа и qui necesse,
E se la sua natura ben rimiri.
Anzi и formale ad esto beato esse
Tenersi dentro a la divina voglia,
Per ch’una fansi nostre voglie stesse;
sм che, come noi sem di soglia in soglia
Per questo regno, a tutto il regno piace
Com’a lo re che ‘n suo voler ne ‘nvoglia.
E ‘n la sua volontade и nostra pace:
Ell’и quel mare al qual tutto si move
Ciт ch’ella cria o che natura face”.
Chiaro mi fu allor come ogne dove
In cielo и paradiso, etsi la grazia
Del sommo ben d’un modo non vi piove.
Ma sм com’elli avvien, s’un cibo sazia
E d’un altro rimane ancor la gola,
Che quel si chere e di quel si ringrazia,
cosм fec’io con atto e con parola,
Per apprender da lei qual fu la tela
Onde non trasse infino a co la spuola.
“Perfetta vita e alto merto inciela
Donna piщ sщ”, mi disse, “a la cui norma
Nel vostro mondo giщ si veste e vela,
perchй fino al morir si vegghi e dorma
Con quello sposo ch’ogne voto accetta
Che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo, per seguirla, giovinetta
Fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
E promisi la via de la sua setta.
Uomini poi, a mal piщ ch’a bene usi,
Fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
E quest’altro splendor che ti si mostra
Da la mia destra parte e che s’accende
Di tutto il lume de la spera nostra,
ciт ch’io dico di me, di sй intende;
Sorella fu, e cosм le fu tolta
Di capo l’ombra de le sacre bende.
Ma poi che pur al mondo fu rivolta
Contra suo grado e contra buona usanza,
Non fu dal vel del cor giа mai disciolta.
Quest’и la luce de la gran Costanza
Che del secondo vento di Soave
Generт ‘l terzo e l’ultima possanza”.
Cosм parlommi, e poi cominciт ‘Ave,
Maria’ cantando, e cantando vanio
Come per acqua cupa cosa grave.
La vista mia, che tanto lei seguio
Quanto possibil fu, poi che la perse,
Volsesi al segno di maggior disio,
e a Beatrice tutta si converse;
Ma quella folgorт nel mio sguardo
Sм che da prima il viso non sofferse;
e ciт mi fece a dimandar piщ tardo.
Paradiso: Canto IV
Intra due cibi, distanti e moventi
D’un modo, prima si morria di fame,
Che liber’omo l’un recasse ai denti;
sм si starebbe un agno intra due brame
Di fieri lupi, igualmente temendo;
Sм si starebbe un cane intra due dame:
per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
Da li miei dubbi d’un modo sospinto,
Poi ch’era necessario, nй commendo.
Io mi tacea, ma ‘l mio disir dipinto
M’era nel viso, e ‘l dimandar con ello,
Piщ caldo assai che per parlar distinto.
Fй sм Beatrice qual fй Daniello,
Nabuccodonosor levando d’ira,
Che l’avea fatto ingiustamente fello;
e disse: “Io veggio ben come ti tira
Uno e altro disio, sм che tua cura
Sй stessa lega sм che fuor non spira.
Tu argomenti: “Se ‘l buon voler dura,
La violenza altrui per qual ragione
Di meritar mi scema la misura?”.
Ancor di dubitar ti dа cagione
Parer tornarsi l’anime a le stelle,
Secondo la sentenza di Platone.
Queste son le question che nel tuo velle
Pontano igualmente; e perт pria
Tratterт quella che piщ ha di felle.
D’i Serafin colui che piщ s’india,
Moisи, Samuel, e quel Giovanni
Che prender vuoli, io dico, non Maria,
non hanno in altro cielo i loro scanni
Che questi spirti che mo t’appariro,
Nй hanno a l’esser lor piщ o meno anni;
ma tutti fanno bello il primo giro,
E differentemente han dolce vita
Per sentir piщ e men l’etterno spiro.
Qui si mostraro, non perchй sortita
Sia questa spera lor, ma per far segno
De la celestial c’ha men salita.
Cosм parlar conviensi al vostro ingegno,
Perт che solo da sensato apprende
Ciт che fa poscia d’intelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende
A vostra facultate, e piedi e mano
Attribuisce a Dio, e altro intende;
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
E l’altro che Tobia rifece sano.
Quel che Timeo de l’anime argomenta
Non и simile a ciт che qui si vede,
Perт che, come dice, par che senta.
Dice che l’alma a la sua stella riede,
Credendo quella quindi esser decisa
Quando natura per forma la diede;
e forse sua sentenza и d’altra guisa
Che la voce non suona, ed esser puote
Con intenzion da non esser derisa.
S’elli intende tornare a queste ruote
L’onor de la influenza e ‘l biasmo, forse
In alcun vero suo arco percuote.
Questo principio, male inteso, torse
Giа tutto il mondo quasi, sм che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse.
L’altra dubitazion che ti commove
Ha men velen, perт che sua malizia
Non ti poria menar da me altrove.
Parere ingiusta la nostra giustizia
Ne li occhi d’i mortali, и argomento
Di fede e non d’eretica nequizia.
Ma perchй puote vostro accorgimento
Ben penetrare a questa veritate,
Come disiri, ti farт contento.
Se violenza и quando quel che pate
Niente conferisce a quel che sforza,
Non fuor quest’alme per essa scusate;
chй volontа, se non vuol, non s’ammorza,
Ma fa come natura face in foco,
Se mille volte violenza il torza.
Per che, s’ella si piega assai o poco,
Segue la forza; e cosм queste fero
Possendo rifuggir nel santo loco.
Se fosse stato lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in su la grada,
E fece Muzio a la sua man severo,
cosм l’avria ripinte per la strada
Ond’eran tratte, come fuoro sciolte;
Ma cosм salda voglia и troppo rada.
E per queste parole, se ricolte
L’hai come dei, и l’argomento casso
Che t’avria fatto noia ancor piщ volte.
Ma or ti s’attraversa un altro passo
Dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
Non usciresti: pria saresti lasso.
Io t’ho per certo ne la mente messo
Ch’alma beata non poria mentire,
Perт ch’и sempre al primo vero appresso;
e poi potesti da Piccarda udire
Che l’affezion del vel Costanza tenne;
Sм ch’ella par qui meco contradire.
Molte fiate giа, frate, addivenne
Che, per fuggir periglio, contra grato
Si fй di quel che far non si convenne;
come Almeone, che, di ciт pregato
Dal padre suo, la propria madre spense,
Per non perder pietа, si fй spietato.
A questo punto voglio che tu pense
Che la forza al voler si mischia, e fanno
Sм che scusar non si posson l’offense.
Voglia assoluta non consente al danno;
Ma consentevi in tanto in quanto teme,
Se si ritrae, cadere in piщ affanno.
Perт, quando Piccarda quello spreme,
De la voglia assoluta intende, e io
De l’altra; sм che ver diciamo insieme”.
Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
Ch’uscм del fonte ond’ogne ver deriva;
Tal puose in pace uno e altro disio.
“O amanza del primo amante, o diva”,
Diss’io appresso, “il cui parlar m’inonda
E scalda sм, che piщ e piщ m’avviva,
non и l’affezion mia tanto profonda,
Che basti a render voi grazia per grazia;
Ma quei che vede e puote a ciт risponda.
Io veggio ben che giа mai non si sazia
Nostro intelletto, se ‘l ver non lo illustra
Di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera in lustra,
Tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
Se non, ciascun disio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
A piи del vero il dubbio; ed и natura
Ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
Questo m’invita, questo m’assicura
Con reverenza, donna, a dimandarvi
D’un’altra veritа che m’и oscura.
Io vo’ saper se l’uom puт sodisfarvi
Ai voti manchi sм con altri beni,
Ch’a la vostra statera non sien parvi”.
Beatrice mi guardт con li occhi pieni
Di faville d’amor cosм divini,
Che, vinta, mia virtute diи le reni,
e quasi mi perdei con li occhi chini.
Paradiso: Canto V
“S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore
Di lа dal modo che ‘n terra si vede,
Sм che del viso tuo vinco il valore,
non ti maravigliar; chй ciт procede
Da perfetto veder, che, come apprende,
Cosм nel bene appreso move il piede.
Io veggio ben sм come giа resplende
Ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
Che, vista, sola e sempre amore accende;
e s’altra cosa vostro amor seduce,
Non и se non di quella alcun vestigio,
Mal conosciuto, che quivi traluce.
Tu vuo’ saper se con altro servigio,
Per manco voto, si puт render tanto
Che l’anima sicuri di letigio”.
Sм cominciт Beatrice questo canto;
E sм com’uom che suo parlar non spezza,
Continuт cosм ‘l processo santo:
“Lo maggior don che Dio per sua larghezza
Fesse creando, e a la sua bontate
Piщ conformato, e quel ch’e’ piщ apprezza,
fu de la volontа la libertate;
Di che le creature intelligenti,
E tutte e sole, fuoro e son dotate.
Or ti parrа, se tu quinci argomenti,
L’alto valor del voto, s’и sм fatto
Che Dio consenta quando tu consenti;
chй, nel fermar tra Dio e l’uomo il patto,
Vittima fassi di questo tesoro,
Tal quale io dico; e fassi col suo atto.
Dunque che render puossi per ristoro?
Se credi bene usar quel c’hai offerto,
Di maltolletto vuo’ far buon lavoro.
Tu se’ omai del maggior punto certo;
Ma perchй Santa Chiesa in ciт dispensa,
Che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,
convienti ancor sedere un poco a mensa,
Perт che ‘l cibo rigido c’hai preso,
Richiede ancora aiuto a tua dispensa.
Apri la mente a quel ch’io ti paleso
E fermalvi entro; chй non fa scienza,
Sanza lo ritenere, avere inteso.
Due cose si convegnono a l’essenza
Di questo sacrificio: l’una и quella
Di che si fa; l’altr’и la convenenza.
Quest’ultima giа mai non si cancella
Se non servata; e intorno di lei
Sм preciso di sopra si favella:
perт necessitato fu a li Ebrei
Pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta
Sм permutasse, come saver dei.
L’altra, che per materia t’и aperta,
Puote ben esser tal, che non si falla
Se con altra materia si converta.
Ma non trasmuti carco a la sua spalla
Per suo arbitrio alcun, sanza la volta
E de la chiave bianca e de la gialla;
e ogne permutanza credi stolta,
Se la cosa dimessa in la sorpresa
Come ‘l quattro nel sei non и raccolta.
Perт qualunque cosa tanto pesa
Per suo valor che tragga ogne bilancia,
Sodisfar non si puт con altra spesa.
Non prendan li mortali il voto a ciancia;
Siate fedeli, e a ciт far non bieci,
Come Ieptи a la sua prima mancia;
cui piщ si convenia dicer ‘Mal feci’,
Che, servando, far peggio; e cosм stolto
Ritrovar puoi il gran duca de’ Greci,
onde pianse Efigиnia il suo bel volto,
E fй pianger di sй i folli e i savi
Ch’udir parlar di cosм fatto cуlto.
Siate, Cristiani, a muovervi piщ gravi:
Non siate come penna ad ogne vento,
E non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
Avete il novo e ‘l vecchio Testamento,
E ‘l pastor de la Chiesa che vi guida;
Questo vi basti a vostro salvamento.
Se mala cupidigia altro vi grida,
Uomini siate, e non pecore matte,
Sм che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!
Non fate com’agnel che lascia il latte
De la sua madre, e semplice e lascivo
Seco medesmo a suo piacer combatte!”.
Cosм Beatrice a me com’io scrivo;
Poi si rivolse tutta disiante
A quella parte ove ‘l mondo и piщ vivo.
Lo suo tacere e ‘l trasmutar sembiante
Puoser silenzio al mio cupido ingegno,
Che giа nuove questioni avea davante;
e sм come saetta che nel segno
Percuote pria che sia la corda queta,
Cosм corremmo nel secondo regno.
Quivi la donna mia vid’io sм lieta,
Come nel lume di quel ciel si mise,
Che piщ lucente se ne fй ‘l pianeta.
E se la stella si cambiт e rise,
Qual mi fec’io che pur da mia natura
Trasmutabile son per tutte guise!
Come ‘n peschiera ch’и tranquilla e pura
Traggonsi i pesci a ciт che vien di fori
Per modo che lo stimin lor pastura,
sм vid’io ben piщ di mille splendori
Trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udмa:
“Ecco chi crescerа li nostri amori”.
E sм come ciascuno a noi venмa,
Vedeasi l’ombra piena di letizia
Nel folgуr chiaro che di lei uscia.
Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
Non procedesse, come tu avresti
Di piщ savere angosciosa carizia;
e per te vederai come da questi
M’era in disio d’udir lor condizioni,
Sм come a li occhi mi fur manifesti.
“O bene nato a cui veder li troni
Del triunfo etternal concede grazia
Prima che la milizia s’abbandoni,
del lume che per tutto il ciel si spazia
Noi semo accesi; e perт, se disii
Di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia”.
Cosм da un di quelli spirti pii
Detto mi fu; e da Beatrice: “Dм, dм
Sicuramente, e credi come a dii”.
“Io veggio ben sм come tu t’annidi
Nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
Perch’e’ corusca sм come tu ridi;
ma non so chi tu se’, nй perchй aggi,
Anima degna, il grado de la spera
Che si vela a’ mortai con altrui raggi”.
Questo diss’io diritto alla lumera
Che pria m’avea parlato; ond’ella fessi
Lucente piщ assai di quel ch’ell’era.
Sм come il sol che si cela elli stessi
Per troppa luce, come ‘l caldo ha rуse
Le temperanze d’i vapori spessi,
per piщ letizia sм mi si nascose
Dentro al suo raggio la figura santa;
E cosм chiusa chiusa mi rispuose
nel modo che ‘l seguente canto canta.
Paradiso: Canto VI
“Poscia che Costantin l’aquila volse
Contr’al corso del ciel, ch’ella seguio
Dietro a l’antico che Lavina tolse,
cento e cent’anni e piщ l’uccel di Dio
Ne lo stremo d’Europa si ritenne,
Vicino a’ monti de’ quai prima uscмo;
e sotto l’ombra de le sacre penne
Governт ‘l mondo lм di mano in mano,
E, sм cangiando, in su la mia pervenne.
Cesare fui e son Iustiniano,
Che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
D’entro le leggi trassi il troppo e ‘l vano.
E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
Una natura in Cristo esser, non piщe,
Credea, e di tal fede era contento;
ma ‘l benedetto Agapito, che fue
Sommo pastore, a la fede sincera
Mi dirizzт con le parole sue.
Io li credetti; e ciт che ‘n sua fede era,
Vegg’io or chiaro sм, come tu vedi
Ogni contradizione e falsa e vera.
Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
A Dio per grazia piacque di spirarmi
L’alto lavoro, e tutto ‘n lui mi diedi;
e al mio Belisar commendai l’armi,
Cui la destra del ciel fu sм congiunta,
Che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
Or qui a la question prima s’appunta
La mia risposta; ma sua condizione
Mi stringe a seguitare alcuna giunta,
perchй tu veggi con quanta ragione
Si move contr’al sacrosanto segno
E chi ‘l s’appropria e chi a lui s’oppone.
Vedi quanta virtщ l’ha fatto degno
Di reverenza; e cominciт da l’ora
Che Pallante morм per darli regno.
Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora
Per trecento anni e oltre, infino al fine
Che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.
E sai ch’el fй dal mal de le Sabine
Al dolor di Lucrezia in sette regi,
Vincendo intorno le genti vicine.
Sai quel ch’el fй portato da li egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
Incontro a li altri principi e collegi;
onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
Negletto fu nomato, i Deci e ‘ Fabi
Ebber la fama che volontier mirro.
Esso atterrт l’orgoglio de li Arаbi
Che di retro ad Annibale passaro
L’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
Sott’esso giovanetti triunfaro
Scipione e Pompeo; e a quel colle
Sotto ‘l qual tu nascesti parve amaro.
Poi, presso al tempo che tutto ‘l ciel volle
Redur lo mondo a suo modo sereno,
Cesare per voler di Roma il tolle.
E quel che fй da Varo infino a Reno,
Isara vide ed Era e vide Senna
E ogne valle onde Rodano и pieno.
Quel che fй poi ch’elli uscм di Ravenna
E saltт Rubicon, fu di tal volo,
Che nol seguiteria lingua nй penna.
Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,
Poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
Sм ch’al Nil caldo si sentм del duolo.
Antandro e Simeonta, onde si mosse,
Rivide e lа dov’Ettore si cuba;
E mal per Tolomeo poscia si scosse.
Da indi scese folgorando a Iuba;
Onde si volse nel vostro occidente,
Ove sentia la pompeana tuba.
Di quel che fй col baiulo seguente,
Bruto con Cassio ne l’inferno latra,
E Modena e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trista Cleopatra,
Che, fuggendoli innanzi, dal colubro
La morte prese subitana e atra.
Con costui corse infino al lito rubro;
Con costui puose il mondo in tanta pace,
Che fu serrato a Giano il suo delubro.
Ma ciт che ‘l segno che parlar mi face
Fatto avea prima e poi era fatturo
Per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
diventa in apparenza poco e scuro,
Se in mano al terzo Cesare si mira
Con occhio chiaro e con affetto puro;
chй la viva giustizia che mi spira,
Li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
Gloria di far vendetta a la sua ira.
Or qui t’ammira in ciт ch’io ti replмco:
Poscia con Tito a far vendetta corse
De la vendetta del peccato antico.
E quando il dente longobardo morse
La Santa Chiesa, sotto le sue ali
Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
Omai puoi giudicar di quei cotali
Ch’io accusai di sopra e di lor falli,
Che son cagion di tutti vostri mali.
L’uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppone, e l’altro appropria quello a parte,
Sм ch’и forte a veder chi piщ si falli.
Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
Sott’altro segno; chй mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte;
e non l’abbatta esto Carlo novello
Coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
Ch’a piщ alto leon trasser lo vello.
Molte fiate giа pianser li figli
Per la colpa del padre, e non si creda
Che Dio trasmuti l’arme per suoi gigli!
Questa picciola stella si correda
Di buoni spirti che son stati attivi
Perchй onore e fama li succeda:
e quando li disiri poggian quivi,
Sм disviando, pur convien che i raggi
Del vero amore in sщ poggin men vivi.
Ma nel commensurar d’i nostri gaggi
Col merto и parte di nostra letizia,
Perchй non li vedem minor nй maggi.
Quindi addolcisce la viva giustizia
In noi l’affetto sм, che non si puote
Torcer giа mai ad alcuna nequizia.
Diverse voci fanno dolci note;
Cosм diversi scanni in nostra vita
Rendon dolce armonia tra queste rote.
E dentro a la presente margarita
Luce la luce di Romeo, di cui
Fu l’ovra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzai che fecer contra lui
Non hanno riso; e perт mal cammina
Qual si fa danno del ben fare altrui.
Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhiere, e ciт li fece
Romeo, persona umмle e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
A dimandar ragione a questo giusto,
Che li assegnт sette e cinque per diece,
indi partissi povero e vetusto;
E se ‘l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
Mendicando sua vita a frusto a frusto,
assai lo loda, e piщ lo loderebbe”.
Paradiso: Canto VII
“Osanna, sanctus Deus sabaтth,
Superillustrans claritate tua
Felices ignes horum malacтth!”.
Cosм, volgendosi a la nota sua,
Fu viso a me cantare essa sustanza,
Sopra la qual doppio lume s’addua:
ed essa e l’altre mossero a sua danza,
E quasi velocissime faville,
Mi si velar di sщbita distanza.
Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
Fra me, ‘dille’, dicea, ‘a la mia donna
Che mi diseta con le dolci stille’.
Ma quella reverenza che s’indonna
Di tutto me, pur per Be e per ice,
Mi richinava come l’uom ch’assonna.
Poco sofferse me cotal Beatrice
E cominciт, raggiandomi d’un riso
Tal, che nel foco faria l’uom felice:
“Secondo mio infallibile avviso,
Come giusta vendetta giustamente
Punita fosse, t’ha in pensier miso;
ma io ti solverт tosto la mente;
E tu ascolta, chй le mie parole
Di gran sentenza ti faran presente.
Per non soffrire a la virtщ che vole
Freno a suo prode, quell’uom che non nacque,
Dannando sй, dannт tutta sua prole;
onde l’umana specie inferma giacque
Giщ per secoli molti in grande errore,
Fin ch’al Verbo di Dio discender piacque
u’ la natura, che dal suo fattore
S’era allungata, unм a sй in persona
Con l’atto sol del suo etterno amore.
Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:
Questa natura al suo fattore unita,
Qual fu creata, fu sincera e buona;
ma per sй stessa pur fu ella sbandita
Di paradiso, perт che si torse
Da via di veritа e da sua vita.
La pena dunque che la croce porse
S’a la natura assunta si misura,
Nulla giа mai sм giustamente morse;
e cosм nulla fu di tanta ingiura,
Guardando a la persona che sofferse,
In che era contratta tal natura.
Perт d’un atto uscir cose diverse:
Ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
Per lei tremт la terra e ‘l ciel s’aperse.
Non ti dee oramai parer piщ forte,
Quando si dice che giusta vendetta
Poscia vengiata fu da giusta corte.
Ma io veggi’ or la tua mente ristretta
Di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
Del qual con gran disio solver s’aspetta.
Tu dici: “Ben discerno ciт ch’i’ odo;
Ma perchй Dio volesse, m’и occulto,
A nostra redenzion pur questo modo”.
Questo decreto, frate, sta sepulto
A li occhi di ciascuno il cui ingegno
Ne la fiamma d’amor non и adulto.
Veramente, perт ch’a questo segno
Molto si mira e poco si discerne,
Dirт perchй tal modo fu piщ degno.
La divina bontа, che da sй sperne
Ogne livore, ardendo in sй, sfavilla
Sм che dispiega le bellezze etterne.
Ciт che da lei sanza mezzo distilla
Non ha poi fine, perchй non si move
La sua imprenta quand’ella sigilla.
Ciт che da essa sanza mezzo piove
Libero и tutto, perchй non soggiace
A la virtute de le cose nove.
Piщ l’и conforme, e perт piщ le piace;
Chй l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,
Ne la piщ somigliante и piщ vivace.
Di tutte queste dote s’avvantaggia
L’umana creatura; e s’una manca,
Di sua nobilitа convien che caggia.
Solo il peccato и quel che la disfranca
E falla dissмmile al sommo bene,
Per che del lume suo poco s’imbianca;
e in sua dignitа mai non rivene,
Se non riempie, dove colpa vтta,
Contra mal dilettar con giuste pene.
Vostra natura, quando peccт tota
Nel seme suo, da queste dignitadi,
Come di paradiso, fu remota;
nй ricovrar potiensi, se tu badi
Ben sottilmente, per alcuna via,
Sanza passar per un di questi guadi:
o che Dio solo per sua cortesia
Dimesso avesse, o che l’uom per sй isso
Avesse sodisfatto a sua follia.
Ficca mo l’occhio per entro l’abisso
De l’etterno consiglio, quanto puoi
Al mio parlar distrettamente fisso.
Non potea l’uomo ne’ termini suoi
Mai sodisfar, per non potere ir giuso
Con umiltate obediendo poi,
quanto disobediendo intese ir suso;
E questa и la cagion per che l’uom fue
Da poter sodisfar per sй dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vie sue
Riparar l’omo a sua intera vita,
Dico con l’una, o ver con amendue.
Ma perchй l’ovra tanto и piщ gradita
Da l’operante, quanto piщ appresenta
De la bontа del core ond’ell’и uscita,
la divina bontа che ‘l mondo imprenta,
Di proceder per tutte le sue vie,
A rilevarvi suso, fu contenta.
Nй tra l’ultima notte e ‘l primo die
Sм alto o sм magnifico processo,
O per l’una o per l’altra, fu o fie:
chй piщ largo fu Dio a dar sй stesso
Per far l’uom sufficiente a rilevarsi,
Che s’elli avesse sol da sй dimesso;
e tutti li altri modi erano scarsi
A la giustizia, se ‘l Figliuol di Dio
Non fosse umiliato ad incarnarsi.
Or per empierti bene ogni disio,
Ritorno a dichiararti in alcun loco,
Perchй tu veggi lм cosм com’io.
Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
L’aere e la terra e tutte lor misture
Venire a corruzione, e durar poco;
e queste cose pur furon creature;
Per che, se ciт ch’и detto и stato vero,
Esser dovrien da corruzion sicure”.
Li angeli, frate, e ‘l paese sincero
Nel qual tu se’, dir si posson creati,
Sм come sono, in loro essere intero;
ma li elementi che tu hai nomati
E quelle cose che di lor si fanno
Da creata virtщ sono informati.
Creata fu la materia ch’elli hanno;
Creata fu la virtщ informante
In queste stelle che ‘ntorno a lor vanno.
L’anima d’ogne bruto e de le piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e ‘l moto de le luci sante;
ma vostra vita sanza mezzo spira
La somma beninanza, e la innamora
Di sй sм che poi sempre la disira.
E quinci puoi argomentare ancora
Vostra resurrezion, se tu ripensi
Come l’umana carne fessi allora
che li primi parenti intrambo fensi”.
Paradiso: Canto VIII
Solea creder lo mondo in suo periclo
Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei faceano onore
Di sacrificio e di votivo grido
Le genti antiche ne l’antico errore;
ma Dione onoravano e Cupido,
Quella per madre sua, questo per figlio,
E dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
e da costei ond’io principio piglio
Pigliavano il vocabol de la stella
Che ‘l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
Io non m’accorsi del salire in ella;
Ma d’esservi entro mi fй assai fede
La donna mia ch’i’ vidi far piщ bella.
E come in fiamma favilla si vede,
E come in voce voce si discerne,
Quand’una и ferma e altra va e riede,
vid’io in essa luce altre lucerne
Muoversi in giro piщ e men correnti,
Al modo, credo, di lor viste interne.
Di fredda nube non disceser venti,
O visibili o no, tanto festini,
Che non paressero impediti e lenti
a chi avesse quei lumi divini
Veduti a noi venir, lasciando il giro
Pria cominciato in li alti Serafini;
e dentro a quei che piщ innanzi appariro
Sonava ‘Osanna’ sм, che unque poi
Di riudir non fui sanza disiro.
Indi si fece l’un piщ presso a noi
E solo incominciт: “Tutti sem presti
Al tuo piacer, perchй di noi ti gioi.
Noi ci volgiam coi principi celesti
D’un giro e d’un girare e d’una sete,
Ai quali tu del mondo giа dicesti:
‘Voi che ‘ntendendo il terzo ciel movete’;
E sem sм pien d’amor, che, per piacerti,
Non fia men dolce un poco di quiete”.
Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
A la mia donna reverenti, ed essa
Fatti li avea di sй contenti e certi,
rivolsersi a la luce che promessa
Tanto s’avea, e “Deh, chi siete?” fue
La voce mia di grande affetto impressa.
E quanta e quale vid’io lei far piщe
Per allegrezza nova che s’accrebbe,
Quando parlai, a l’allegrezze sue!
Cosм fatta, mi disse: “Il mondo m’ebbe
Giщ poco tempo; e se piщ fosse stato,
Molto sarа di mal, che non sarebbe.
La mia letizia mi ti tien celato
Che mi raggia dintorno e mi nasconde
Quasi animal di sua seta fasciato.
Assai m’amasti, e avesti ben onde;
Che s’io fossi giщ stato, io ti mostrava
Di mio amor piщ oltre che le fronde.
Quella sinistra riva che si lava
Di Rodano poi ch’и misto con Sorga,
Per suo segnore a tempo m’aspettava,
e quel corno d’Ausonia che s’imborga
Di Bari e di Gaeta e di Catona
Da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
Fulgeami giа in fronte la corona
Di quella terra che ‘l Danubio riga
Poi che le ripe tedesche abbandona.
E la bella Trinacria, che caliga
Tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo
Che riceve da Euro maggior briga,
non per Tifeo ma per nascente solfo,
Attesi avrebbe li suoi regi ancora,
Nati per me di Carlo e di Ridolfo,
se mala segnoria, che sempre accora
Li popoli suggetti, non avesse
Mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
E se mio frate questo antivedesse,
L’avara povertа di Catalogna
Giа fuggeria, perchй non li offendesse;
chй veramente proveder bisogna
Per lui, o per altrui, sм ch’a sua barca
Carcata piщ d’incarco non si pogna.
La sua natura, che di larga parca
Discese, avria mestier di tal milizia
Che non curasse di mettere in arca”.
“Perт ch’i’ credo che l’alta letizia
Che ‘l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
Lа ‘ve ogne ben si termina e s’inizia,
per te si veggia come la vegg’io,
Grata m’и piщ; e anco quest’ho caro
Perchй ‘l discerni rimirando in Dio.
Fatto m’hai lieto, e cosм mi fa chiaro,
Poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
Com’esser puт, di dolce seme, amaro”.
Questo io a lui; ed elli a me: “S’io posso
Mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
Terrai lo viso come tien lo dosso.
Lo ben che tutto il regno che tu scandi
Volge e contenta, fa esser virtute
Sua provedenza in questi corpi grandi.
E non pur le nature provedute
Sono in la mente ch’и da sй perfetta,
Ma esse insieme con la lor salute:
per che quantunque quest’arco saetta
Disposto cade a proveduto fine,
Sм come cosa in suo segno diretta.
Se ciт non fosse, il ciel che tu cammine
Producerebbe sм li suoi effetti,
Che non sarebbero arti, ma ruine;
e ciт esser non puт, se li ‘ntelletti
Che muovon queste stelle non son manchi,
E manco il primo, che non li ha perfetti.
Vuo’ tu che questo ver piщ ti s’imbianchi?”.
E io: “Non giа; chй impossibil veggio
Che la natura, in quel ch’и uopo, stanchi”.
Ond’elli ancora: “Or di’: sarebbe il peggio
Per l’omo in terra, se non fosse cive?”.
“Sм”, rispuos’io; “e qui ragion non cheggio”.
“E puot’elli esser, se giщ non si vive
Diversamente per diversi offici?
Non, se ‘l maestro vostro ben vi scrive”.
Sм venne deducendo infino a quici;
Poscia conchiuse: “Dunque esser diverse
Convien di vostri effetti le radici:
per ch’un nasce Solone e altro Serse,
Altro Melchisedиch e altro quello
Che, volando per l’aere, il figlio perse.
La circular natura, ch’и suggello
A la cera mortal, fa ben sua arte,
Ma non distingue l’un da l’altro ostello.
Quinci addivien ch’Esaщ si diparte
Per seme da Iacтb; e vien Quirino
Da sм vil padre, che si rende a Marte.
Natura generata il suo cammino
Simil farebbe sempre a’ generanti,
Se non vincesse il proveder divino.
Or quel che t’era dietro t’и davanti:
Ma perchй sappi che di te mi giova,
Un corollario voglio che t’ammanti.
Sempre natura, se fortuna trova
Discorde a sй, com’ogne altra semente
Fuor di sua region, fa mala prova.
E se ‘l mondo lа giщ ponesse mente
Al fondamento che natura pone,
Seguendo lui, avria buona la gente.
Ma voi torcete a la religione
Tal che fia nato a cignersi la spada,
E fate re di tal ch’и da sermone;
onde la traccia vostra и fuor di strada”.
Paradiso: Canto IX
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
M’ebbe chiarito, mi narrт li ‘nganni
Che ricever dovea la sua semenza;
ma disse: “Taci e lascia muover li anni”;
Sм ch’io non posso dir se non che pianto
Giusto verrа di retro ai vostri danni.
E giа la vita di quel lume santo
Rivolta s’era al Sol che la riempie
Come quel ben ch’a ogne cosa и tanto.
Ahi anime ingannate e fatture empie,
Che da sм fatto ben torcete i cuori,
Drizzando in vanitа le vostre tempie!
Ed ecco un altro di quelli splendori
Ver’ me si fece, e ‘l suo voler piacermi
Significava nel chiarir di fori.
Li occhi di Beatrice, ch’eran fermi
Sovra me, come pria, di caro assenso
Al mio disio certificato fermi.
“Deh, metti al mio voler tosto compenso,
Beato spirto”, dissi, “e fammi prova
Ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!”.
Onde la luce che m’era ancor nova,
Del suo profondo, ond’ella pria cantava,
Seguette come a cui di ben far giova:
“In quella parte de la terra prava
Italica che siede tra Rialto
E le fontane di Brenta e di Piava,
si leva un colle, e non surge molt’alto,
Lа onde scese giа una facella
Che fece a la contrada un grande assalto.
D’una radice nacqui e io ed ella:
Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
Perchй mi vinse il lume d’esta stella;
ma lietamente a me medesma indulgo
La cagion di mia sorte, e non mi noia;
Che parria forse forte al vostro vulgo.
Di questa luculenta e cara gioia
Del nostro cielo che piщ m’и propinqua,
Grande fama rimase; e pria che moia,
questo centesimo anno ancor s’incinqua:
Vedi se far si dee l’omo eccellente,
Sм ch’altra vita la prima relinqua.
E ciт non pensa la turba presente
Che Tagliamento e Adice richiude,
Nй per esser battuta ancor si pente;
ma tosto fia che Padova al palude
Cangerа l’acqua che Vincenza bagna,
Per essere al dover le genti crude;
e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
Tal signoreggia e va con la testa alta,
Che giа per lui carpir si fa la ragna.
Piangerа Feltro ancora la difalta
De l’empio suo pastor, che sarа sconcia
Sм, che per simil non s’entrт in malta.
Troppo sarebbe larga la bigoncia
Che ricevesse il sangue ferrarese,
E stanco chi ‘l pesasse a oncia a oncia,
che donerа questo prete cortese
Per mostrarsi di parte; e cotai doni
Conformi fieno al viver del paese.
Sщ sono specchi, voi dicete Troni,
Onde refulge a noi Dio giudicante;
Sм che questi parlar ne paion buoni”.
Qui si tacette; e fecemi sembiante
Che fosse ad altro volta, per la rota
In che si mise com’era davante.
L’altra letizia, che m’era giа nota
Per cara cosa, mi si fece in vista
Qual fin balasso in che lo sol percuota.
Per letiziar lа sщ fulgor s’acquista,
Sм come riso qui; ma giщ s’abbuia
L’ombra di fuor, come la mente и trista.
“Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia”,
Diss’io, “beato spirto, sм che nulla
Voglia di sй a te puot’esser fuia.
Dunque la voce tua, che ‘l ciel trastulla
Sempre col canto di quei fuochi pii
Che di sei ali facen la coculla,
perchй non satisface a’ miei disii?
Giа non attendere’ io tua dimanda,
S’io m’intuassi, come tu t’inmii”.
“La maggior valle in che l’acqua si spanda”,
Incominciaro allor le sue parole,
“fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
tra ‘ discordanti liti contra ‘l sole
Tanto sen va, che fa meridiano
Lа dove l’orizzonte pria far suole.
Di quella valle fu’ io litorano
Tra Ebro e Macra, che per cammin corto
Parte lo Genovese dal Toscano.
Ad un occaso quasi e ad un orto
Buggea siede e la terra ond’io fui,
Che fй del sangue suo giа caldo il porto.
Folco mi disse quella gente a cui
Fu noto il nome mio; e questo cielo
Di me s’imprenta, com’io fe’ di lui;
chй piщ non arse la figlia di Belo,
Noiando e a Sicheo e a Creusa,
Di me, infin che si convenne al pelo;
nй quella Rodopea che delusa
Fu da Demofoonte, nй Alcide
Quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
Non perт qui si pente, ma si ride,
Non de la colpa, ch’a mente non torna,
Ma del valor ch’ordinт e provide.
Qui si rimira ne l’arte ch’addorna
Cotanto affetto, e discernesi ‘l bene
Per che ‘l mondo di sщ quel di giщ torna.
Ma perchй tutte le tue voglie piene
Ten porti che son nate in questa spera,
Proceder ancor oltre mi convene.
Tu vuo’ saper chi и in questa lumera
Che qui appresso me cosм scintilla,
Come raggio di sole in acqua mera.
Or sappi che lа entro si tranquilla
Raab; e a nostr’ordine congiunta,
Di lei nel sommo grado si sigilla.
Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta
Che ‘l vostro mondo face, pria ch’altr’alma
Del triunfo di Cristo fu assunta.
Ben si convenne lei lasciar per palma
In alcun cielo de l’alta vittoria
Che s’acquistт con l’una e l’altra palma,
perch’ella favorт la prima gloria
Di Iosuи in su la Terra Santa,
Che poco tocca al papa la memoria.
La tua cittа, che di colui и pianta
Che pria volse le spalle al suo fattore
E di cui и la ‘nvidia tanto pianta,
produce e spande il maladetto fiore
C’ha disviate le pecore e li agni,
Perт che fatto ha lupo del pastore.
Per questo l’Evangelio e i dottor magni
Son derelitti, e solo ai Decretali
Si studia, sм che pare a’ lor vivagni.
A questo intende il papa e ‘ cardinali;
Non vanno i lor pensieri a Nazarette,
Lа dove Gabriello aperse l’ali.
Ma Vaticano e l’altre parti elette
Di Roma che son state cimitero
A la milizia che Pietro seguette,
tosto libere fien de l’avoltero”.
Paradiso: Canto X
Guardando nel suo Figlio con l’Amore
Che l’uno e l’altro etternalmente spira,
Lo primo e ineffabile Valore
quanto per mente e per loco si gira
Con tant’ordine fй, ch’esser non puote
Sanza gustar di lui chi ciт rimira.
Leva dunque, lettore, a l’alte rote
Meco la vista, dritto a quella parte
Dove l’un moto e l’altro si percuote;
e lм comincia a vagheggiar ne l’arte
Di quel maestro che dentro a sй l’ama,
Tanto che mai da lei l’occhio non parte.
Vedi come da indi si dirama
L’oblico cerchio che i pianeti porta,
Per sodisfare al mondo che li chiama.
Che se la strada lor non fosse torta,
Molta virtщ nel ciel sarebbe in vano,
E quasi ogne potenza qua giщ morta;
e se dal dritto piщ o men lontano
Fosse ‘l partire, assai sarebbe manco
E giщ e sщ de l’ordine mondano.
Or ti riman, lettor, sovra ‘l tuo banco,
Dietro pensando a ciт che si preliba,
S’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;
Chй a sй torce tutta la mia cura
Quella materia ond’io son fatto scriba.
Lo ministro maggior de la natura,
Che del valor del ciel lo mondo imprenta
E col suo lume il tempo ne misura,
con quella parte che sщ si rammenta
Congiunto, si girava per le spire
In che piщ tosto ognora s’appresenta;
e io era con lui; ma del salire
Non m’accors’io, se non com’uom s’accorge,
Anzi ‘l primo pensier, del suo venire.
E’ Beatrice quella che sм scorge
Di bene in meglio, sм subitamente
Che l’atto suo per tempo non si sporge.
Quant’esser convenia da sй lucente
Quel ch’era dentro al sol dov’io entra’mi,
Non per color, ma per lume parvente!
Perch’io lo ‘ngegno e l’arte e l’uso chiami,
Sм nol direi che mai s’imaginasse;
Ma creder puossi e di veder si brami.
E se le fantasie nostre son basse
A tanta altezza, non и maraviglia;
Chй sopra ‘l sol non fu occhio ch’andasse.
Tal era quivi la quarta famiglia
De l’alto Padre, che sempre la sazia,
Mostrando come spira e come figlia.
E Beatrice cominciт: “Ringrazia,
Ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
Sensibil t’ha levato per sua grazia”.
Cor di mortal non fu mai sм digesto
A divozione e a rendersi a Dio
Con tutto ‘l suo gradir cotanto presto,
come a quelle parole mi fec’io;
E sм tutto ‘l mio amore in lui si mise,
Che Beatrice eclissт ne l’oblio.
Non le dispiacque; ma sм se ne rise,
Che lo splendor de li occhi suoi ridenti
Mia mente unita in piщ cose divise.
Io vidi piщ folgуr vivi e vincenti
Far di noi centro e di sй far corona,
Piщ dolci in voce che in vista lucenti:
cosм cinger la figlia di Latona
Vedem talvolta, quando l’aere и pregno,
Sм che ritenga il fil che fa la zona.
Ne la corte del cielo, ond’io rivegno,
Si trovan molte gioie care e belle
Tanto che non si posson trar del regno;
e ‘l canto di quei lumi era di quelle;
Chi non s’impenna sм che lа sщ voli,
Dal muto aspetti quindi le novelle.
Poi, sм cantando, quelli ardenti soli
Si fuor girati intorno a noi tre volte,
Come stelle vicine a’ fermi poli,
donne mi parver, non da ballo sciolte,
Ma che s’arrestin tacite, ascoltando
Fin che le nove note hanno ricolte.
E dentro a l’un senti’ cominciar: “Quando
Lo raggio de la grazia, onde s’accende
Verace amore e che poi cresce amando,
multiplicato in te tanto resplende,
Che ti conduce su per quella scala
U’ sanza risalir nessun discende;
qual ti negasse il vin de la sua fiala
Per la tua sete, in libertа non fora
Se non com’acqua ch’al mar non si cala.
Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
Questa ghirlanda che ‘ntorno vagheggia
La bella donna ch’al ciel t’avvalora.
Io fui de li agni de la santa greggia
Che Domenico mena per cammino
U’ ben s’impingua se non si vaneggia.
Questi che m’и a destra piщ vicino,
Frate e maestro fummi, ed esso Alberto
И di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
Se sм di tutti li altri esser vuo’ certo,
Di retro al mio parlar ten vien col viso
Girando su per lo beato serto.
Quell’altro fiammeggiare esce del riso
Di Grazian, che l’uno e l’altro foro
Aiutт sм che piace in paradiso.
L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,
Quel Pietro fu che con la poverella
Offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
La quinta luce, ch’и tra noi piщ bella,
Spira di tal amor, che tutto ‘l mondo
Lа giщ ne gola di saper novella:
entro v’и l’alta mente u’ sм profondo
Saver fu messo, che, se ‘l vero и vero
A veder tanto non surse il secondo.
Appresso vedi il lume di quel cero
Che giщ in carne piщ a dentro vide
L’angelica natura e ‘l ministero.
Ne l’altra piccioletta luce ride
Quello avvocato de’ tempi cristiani
Del cui latino Augustin si provide.
Or se tu l’occhio de la mente trani
Di luce in luce dietro a le mie lode,
Giа de l’ottava con sete rimani.
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L’anima santa che ‘l mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode.
Lo corpo ond’ella fu cacciata giace
Giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
E da essilio venne a questa pace.
Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
D’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
Che a considerar fu piщ che viro.
Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
И ‘l lume d’uno spirto che ‘n pensieri
Gravi a morir li parve venir tardo:
essa и la luce etterna di Sigieri,
Che, leggendo nel Vico de li Strami,
Silogizzт invidiosi veri”.
Indi, come orologio che ne chiami
Ne l’ora che la sposa di Dio surge
A mattinar lo sposo perchй l’ami,
che l’una parte e l’altra tira e urge,
Tin tin sonando con sм dolce nota,
Che ‘l ben disposto spirto d’amor turge;
cosм vid’io la gloriosa rota
Muoversi e render voce a voce in tempra
E in dolcezza ch’esser non pт nota
se non colа dove gioir s’insempra.
Paradiso: Canto XI
O insensata cura de’ mortali,
Quanto son difettivi silogismi
Quei che ti fanno in basso batter l’ali!
Chi dietro a iura, e chi ad amforismi
Sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza o per sofismi,
e chi rubare, e chi civil negozio,
Chi nel diletto de la carne involto
S’affaticava e chi si dava a l’ozio,
quando, da tutte queste cose sciolto,
Con Beatrice m’era suso in cielo
Cotanto gloriosamente accolto.
Poi che ciascuno fu tornato ne lo
Punto del cerchio in che avanti s’era,
Fermossi, come a candellier candelo.
E io senti’ dentro a quella lumera
Che pria m’avea parlato, sorridendo
Incominciar, faccendosi piщ mera:
“Cosм com’io del suo raggio resplendo,
Sм, riguardando ne la luce etterna,
Li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
In sм aperta e ‘n sм distesa lingua
Lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna,
ove dinanzi dissi “U’ ben s’impingua”,
E lа u’ dissi “Non nacque il secondo”;
E qui и uopo che ben si distingua.
La provedenza, che governa il mondo
Con quel consiglio nel quale ogne aspetto
Creato и vinto pria che vada al fondo,
perт che andasse ver’ lo suo diletto
La sposa di colui ch’ad alte grida
Disposт lei col sangue benedetto,
in sй sicura e anche a lui piщ fida,
Due principi ordinт in suo favore,
Che quinci e quindi le fosser per guida.
L’un fu tutto serafico in ardore;
L’altro per sapienza in terra fue
Di cherubica luce uno splendore.
De l’un dirт, perт che d’amendue
Si dice l’un pregiando, qual ch’om prende,
Perch’ad un fine fur l’opere sue.
Intra Tupino e l’acqua che discende
Del colle eletto dal beato Ubaldo,
Fertile costa d’alto monte pende,
onde Perugia sente freddo e caldo
Da Porta Sole; e di rietro le piange
Per grave giogo Nocera con Gualdo.
Di questa costa, lа dov’ella frange
Piщ sua rattezza, nacque al mondo un sole,
Come fa questo tal volta di Gange.
Perт chi d’esso loco fa parole,
Non dica Ascesi, chй direbbe corto,
Ma Oriente, se proprio dir vuole.
Non era ancor molto lontan da l’orto,
Ch’el cominciт a far sentir la terra
De la sua gran virtute alcun conforto;
chй per tal donna, giovinetto, in guerra
Del padre corse, a cui, come a la morte,
La porta del piacer nessun diserra;
e dinanzi a la sua spirital corte
Et coram patre le si fece unito;
Poscia di dм in dм l’amт piщ forte.
Questa, privata del primo marito,
Millecent’anni e piщ dispetta e scura
Fino a costui si stette sanza invito;
nй valse udir che la trovт sicura
Con Amiclate, al suon de la sua voce,
Colui ch’a tutto ‘l mondo fй paura;
nй valse esser costante nй feroce,
Sм che, dove Maria rimase giuso,
Ella con Cristo pianse in su la croce.
Ma perch’io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertа per questi amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffuso.
La lor concordia e i lor lieti sembianti,
Amore e maraviglia e dolce sguardo
Facieno esser cagion di pensier santi;
tanto che ‘l venerabile Bernardo
Si scalzт prima, e dietro a tanta pace
Corse e, correndo, li parve esser tardo.
Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
Dietro a lo sposo, sм la sposa piace.
Indi sen va quel padre e quel maestro
Con la sua donna e con quella famiglia
Che giа legava l’umile capestro.
Nй li gravт viltа di cuor le ciglia
Per esser fi’ di Pietro Bernardone,
Nй per parer dispetto a maraviglia;
ma regalmente sua dura intenzione
Ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
Primo sigillo a sua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
Dietro a costui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del ciel si canterebbe,
di seconda corona redimita
Fu per Onorio da l’Etterno Spiro
La santa voglia d’esto archimandrita.
E poi che, per la sete del martiro,
Ne la presenza del Soldan superba
Predicт Cristo e li altri che ‘l seguiro,
e per trovare a conversione acerba
Troppo la gente e per non stare indarno,
Redissi al frutto de l’italica erba,
nel crudo sasso intra Tevero e Arno
Da Cristo prese l’ultimo sigillo,
Che le sue membra due anni portarno.
Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
Piacque di trarlo suso a la mercede
Ch’el meritт nel suo farsi pusillo,
a’ frati suoi, sм com’a giuste rede,
Raccomandт la donna sua piщ cara,
E comandт che l’amassero a fede;
e del suo grembo l’anima preclara
Mover si volle, tornando al suo regno,
E al suo corpo non volle altra bara.
Pensa oramai qual fu colui che degno
Collega fu a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto segno;
e questo fu il nostro patriarca;
Per che qual segue lui, com’el comanda,
Discerner puoi che buone merce carca.
Ma ‘l suo pecuglio di nova vivanda
И fatto ghiotto, sм ch’esser non puote
Che per diversi salti non si spanda;
e quanto le sue pecore remote
E vagabunde piщ da esso vanno,
Piщ tornano a l’ovil di latte vтte.
Ben son di quelle che temono ‘l danno
E stringonsi al pastor; ma son sм poche,
Che le cappe fornisce poco panno.
Or, se le mie parole non son fioche,
Se la tua audienza и stata attenta,
Se ciт ch’и detto a la mente revoche,
in parte fia la tua voglia contenta,
Perchй vedrai la pianta onde si scheggia,
E vedra’ il corrиgger che argomenta
“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia””.
Paradiso: Canto XII
Sм tosto come l’ultima parola
La benedetta fiamma per dir tolse,
A rotar cominciт la santa mola;
e nel suo giro tutta non si volse
Prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
E moto a moto e canto a canto colse;
canto che tanto vince nostre muse,
Nostre serene in quelle dolci tube,
Quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
Come si volgon per tenera nube
Due archi paralelli e concolori,
Quando Iunone a sua ancella iube,
nascendo di quel d’entro quel di fori,
A guisa del parlar di quella vaga
Ch’amor consunse come sol vapori;
e fanno qui la gente esser presaga,
Per lo patto che Dio con Noи puose,
Del mondo che giа mai piщ non s’allaga:
cosм di quelle sempiterne rose
Volgiensi circa noi le due ghirlande,
E sм l’estrema a l’intima rispuose.
Poi che ‘l tripudio e l’altra festa grande,
Sм del cantare e sм del fiammeggiarsi
Luce con luce gaudiose e blande,
insieme a punto e a voler quetarsi,
Pur come li occhi ch’al piacer che i move
Conviene insieme chiudere e levarsi;
del cor de l’una de le luci nove
Si mosse voce, che l’ago a la stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove;
e cominciт: “L’amor che mi fa bella
Mi tragge a ragionar de l’altro duca
Per cui del mio sм ben ci si favella.
Degno и che, dov’и l’un, l’altro s’induca:
Sм che, com’elli ad una militaro,
Cosм la gloria loro insieme luca.
L’essercito di Cristo, che sм caro
Costт a riarmar, dietro a la ‘nsegna
Si movea tardo, sospeccioso e raro,
quando lo ‘mperador che sempre regna
Provide a la milizia, ch’era in forse,
Per sola grazia, non per esser degna;
e, come и detto, a sua sposa soccorse
Con due campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol disviato si raccorse.
In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
Di che si vede Europa rivestire,
non molto lungi al percuoter de l’onde
Dietro a le quali, per la lunga foga,
Lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
siede la fortunata Calaroga
Sotto la protezion del grande scudo
In che soggiace il leone e soggioga:
dentro vi nacque l’amoroso drudo
De la fede cristiana, il santo atleta
Benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
e come fu creata, fu repleta
Sм la sua mente di viva vertute,
Che, ne la madre, lei fece profeta.
Poi che le sponsalizie fuor compiute
Al sacro fonte intra lui e la Fede,
U’ si dotar di mutua salute,
la donna che per lui l’assenso diede,
Vide nel sonno il mirabile frutto
Ch’uscir dovea di lui e de le rede;
e perchй fosse qual era in costrutto,
Quinci si mosse spirito a nomarlo
Del possessivo di cui era tutto.
Domenico fu detto; e io ne parlo
Sм come de l’agricola che Cristo
Elesse a l’orto suo per aiutarlo.
Ben parve messo e famigliar di Cristo:
Che ‘l primo amor che ‘n lui fu manifesto,
Fu al primo consiglio che diи Cristo.
Spesse fiate fu tacito e desto
Trovato in terra da la sua nutrice,
Come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.
Oh padre suo veramente Felice!
Oh madre sua veramente Giovanna,
Se, interpretata, val come si dice!
Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
Di retro ad Ostiense e a Taddeo,
Ma per amor de la verace manna
in picciol tempo gran dottor si feo;
Tal che si mise a circuir la vigna
Che tosto imbianca, se ‘l vignaio и reo.
E a la sedia che fu giа benigna
Piщ a’ poveri giusti, non per lei,
Ma per colui che siede, che traligna,
non dispensare o due o tre per sei,
Non la fortuna di prima vacante,
Non decimas, quae sunt pauperum Dei,
addimandт, ma contro al mondo errante
Licenza di combatter per lo seme
Del qual ti fascian ventiquattro piante.
Poi, con dottrina e con volere insieme,
Con l’officio appostolico si mosse
Quasi torrente ch’alta vena preme;
e ne li sterpi eretici percosse
L’impeto suo, piщ vivamente quivi
Dove le resistenze eran piщ grosse.
Di lui si fecer poi diversi rivi
Onde l’orto catolico si riga,
Sм che i suoi arbuscelli stan piщ vivi.
Se tal fu l’una rota de la biga
In che la Santa Chiesa si difese
E vinse in campo la sua civil briga,
ben ti dovrebbe assai esser palese
L’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
Dinanzi al mio venir fu sм cortese.
Ma l’orbita che fй la parte somma
Di sua circunferenza, и derelitta,
Sм ch’и la muffa dov’era la gromma.
La sua famiglia, che si mosse dritta
Coi piedi a le sue orme, и tanto volta,
Che quel dinanzi a quel di retro gitta;
e tosto si vedrа de la ricolta
De la mala coltura, quando il loglio
Si lagnerа che l’arca li sia tolta.
Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
Nostr